lunedì 16 febbraio 2009

Fuoriclasse e Gentiluomo

Fra i tanti articoli dedicati a Giacomo Bulgarelli, questo di Roberto Renga (Il Messaggero, 14 febbraio 2009) ci sembra quello più bello e più vicino al nostro modo di intendere il Calcio. Non abbiamo conosciuto personalmente Bulgarelli, ma possiamo azzardare che anche lui sia stato e rimanga una persona slowfootball.


ROMA (14 febbraio) - Il calciatore Giacomo Bulgarelli non ha avuto rivali: miglior centrocampista italiano di tutti i tempi e siamo pronti a scommetterci casa. Splendidamente completo: regista, incontrista, podista, goleador e in testa l’aureola del fuoriclasse baciato da chi può. Rivera aveva fantasia, Mazzola un dribbling più asciutto, Corso un sinistro unico, De Sisti era un mago dell’equilibrio: Giacomo aveva tutto. Vinse uno scudetto memorabile, perse male due mondiali. Venne abbandonato dalla Nazionale a ventisette anni, come un ferro arrugginito. Si era legato anima, cuore e piedi, al Bologna, che era un grande, ma anche piccolo club e comunque periferico rispetto al potere: fu questa la sua colpa?Come direttore sportivo non ha avuto fortuna: capita ai troppo buoni. Tappe a Modena, Bologna, Catania, Palermo. In televisione Bulgarelli ha aperto una strada lungo la quale, in tanti, poi hanno provato a correre. Coppia perfetta con Massimo Caputi. Una seconda voce, che era anche prima, terza e tutte le voci della tivvù. Unico, come Carosio. Equilibrio, intelligenza, conoscenza della materia, umiltà: erano, del resto, le sue doti da calciatore. I più giovani lo ricorderanno per ”Galagol”, ”Goleada” e la Play Station. ”Un’entrata da macellaio”, ”Un’ottima giocata”, era Giacomo che lo diceva mentre le figurine scorrevano sullo schermo.Gli amici e quanti hanno avuto la fortuna di stargli accanto o di girare il mondo con lui o solo di ascoltarlo una sera, racconteranno, commuovendosi, che era una persona straordinaria e non lo diranno tanto per dire o come si fa con chi non c’è più. Non parlava del suo passato se non tirato per i capelli. Diceva la sua, come se fosse medico o impiegato di banca o il padrone del bar, non il fenomeno Bulgarelli. Non faceva pesare il nome. Amava la buona cucina, le notti che non finiscono mai e gli scherzi. In un taxi, accanto a Causio c’era Pasquale Bruno, bravo come ragazzo e perfido e sconcio da calciatore. Voi, in fin dei conti, siete colleghi, faceva Giacomo ed era una cantilena irresistibile. Causio scese in corsa dal taxi: io collega di quell’animale? Si ritrovarono tutti al ristorante.Bulgarelli era il capocomitiva. In Cile, in Sudafrica, ovunque. Si andava dove andava lui. Che decideva per tutti, ma glielo dovevi chiedere, altrimenti si metteva da una parte e aspettava. In Cile ci si ritrovò nel 1992, trenta anni dopo l’eliminazione dell’Italia, sconfitta e picchiata dal Cile e umiliata dall’arbitro Aston, un inglese radiato a cose fatte e misfatto compiuto. Bulgarelli aveva ventidue anni, era magro come un filo d’erba e inesperto come può esserlo un militare per la prima volta in libera uscita, ma era già il leader della squadra. La sua camera era al secondo piano. In un angolo si nascondeva una stufa a carbone. Giacomo apriva lo sportellino e ascoltava le voci che salivano dalla camera del piano inferiore, nella quale si trovavano i due commissari tecnici, Mazza e Ferrari. Bulgarelli sapeva tutto in anticipo, il che gli dava prestigio. Lo raccontò per la storia, non per farsi bello.Nel 1966 in Inghilterra affrontò la Corea del Nord. Si fece subito male, l’Italia giocò quasi tutta la partita in dieci e l’undicesimo sarebbe stato il più bravo, non uno qualsiasi. Finì uno a zero per i ”Ridolini” del calcio, come li aveva definiti, sbagliando, il vice Fabbri, Valcareggi. Da allora Corea vuol dire sconfitta atroce, ridicola, la coda tra le gambe. Lo scudetto del ’64 è tra i più sofferti e meritati. Il Bologna, secondo la felice definizione di un tifoso, giocava come solo in Paradiso capita di veder giocare. Per frenarlo inventarono una storiaccia di doping. Spareggio con l’Inter all’Olimpico, diretta televisiva, un caldo infernale, Fulvio Bernardini in panchina, Bulgarelli alla regia: Herrera al tappeto e Italia in festa. Poveri, ma belli, come diceva un film dell’epoca.Non badava alla linea. Acquistò chili che ne cambiarono la fisionomia. Abitava in campagna con la moglie Carla e tre figli. Tifava Bologna, ma lo faceva in silenzio. L’ultima foto lo ritrae con un bicchiere di vino in mano. Brindava alla vita, che è stata terribilmente breve, ma non cattiva. Ha avuto tutto quello che desiderava e forse di più: amore, affetto, amicizia, classe. Il danaro non era per lui.

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