venerdì 25 gennaio 2008

Tratto da....Adalberto Scemma e Maurizio Iorio


Very Slowfootball People!
Assolutamente da "gustare" il loro libro!


Calciatori, non solo pallosi , Edizioni Sonda 2001


Calciatori «in provetta»?!
«Campioni si nasce?».Slogan retorico: le qualità naturali, da sole, non bastano più. «Campioni si diventa».Oggi il Calciatore viene costruito in laboratorio, come già teorizzava negli anni Ottanta il colonnello Lobanovskij, l’allenatore-guru della mitica Dinamo Kiev. I responsabili dei settori giovanili lo selezionano dopo averne valutato al computer le proiezioni di sviluppo (chi è sotto l’1,70 può darsi all’ippica come fantino), il rapporto peso-potenza, la resistenza alla fatica e così via. Poi lo alimentano a base di integratori vitaminici (amminoacidi, creatina, eccetera) e lo allevano in batteria come si fa con i tacchini.Di solito i ragazzi che escono da questa esperienza si ritrovano con qualche trauma psicologico in più e con qualche conoscenza calcistica in meno. Finiscono con l’accendere un pessimo rapporto con il pallone e si tengono a debita distanza da qualsiasi disciplina preveda l’uso di un attrezzo rotondo. Gli altri, quelli che resistono a tutto, anche alle lezioni tattiche sulla difesa a tre, sui raddoppi di marcatura e sul pressing alto, sono invece pronti per cominciare la carriera, sono gli eletti, possono concretamente aspirare a diventare campioni.«Brocchi si nasce, campioni si diventa», sta scritto sulla canottiera di Christian Brocchi, centrocampista dell’Inter. Le evidenti concessioni all’ironia non tolgono una virgola all’esattezza dell’espressione: soltanto un certosino addestramento atletico può aprire a un giocatore le porte dell’Olimpo consentendogli di diventare, insomma, un Calciatore con la «C» maiuscola.



Per sfondare nel calcio, oggi, servono i muscoli molto più del cervello. Lo dimostra l’ostracismo che gli strateghi della panchina, i Sacchi e i Lippi in particolare, riservano ai «geni» come Roby Baggio, che inventano gol straordinari ma che sono una sorta di Jurassic Park del calcio, dei sopravvissuti a un’epoca irripetibile, a quella sorta di Arcadia durante la quale tutto era permesso, dal doppio dribbling carpiato al tunnel andata & ritorno, dalla punizione a foglia morta allo stop con l’elastico.Una volta il talento di un giocatore si misurava dal tempo in cui riusciva a trattenere il pallone tra i piedi senza farselo sottrarre dagli avversari. Oggi accade esattamente l’opposto: il più bravo è colui che impiega il minor tempo possibile a liberarsi del «fastidioso attrezzo» (così lo chiama beffardamente Mariolino Corso, uno dei più grandi giocatori-giocolieri di ogni epoca) passandolo possibilmente al compagno più vicino.
Può capitare a volte (ma è sempre più raro) che un ragazzo scopra di avere piedi raffinati e un tocco così morbido da pilotare la palla come se disponesse di un telecomando. Guai a lui. Dovrà avere cura, da quel momento, di nascondere accuratamente queste sue qualità: i piedi buoni sono un optional ma possono diventare un handicap e rischiano di essere guardati con sospetto, in un ambiente in cui la stragrande maggioranza dei calciatori esibisce senza ritegno i classici piedi a banana.Dovrà anche, il tapino, mettersi a correre come un etiope su e giù per il campo in modo da dirottare l’attenzione sulle sue virtù polmonari distogliendola da quelle pedatorie.Soltanto in seguito, fingendo di avere appreso ciò che in definitiva già conosceva, potrà mettere in mostra piedi un po’ più sensibili (ma senza esagerare). Consoliderà così quell’immagine di giocatore «costruito» senza la quale mai e poi mai potrebbe avere accesso alla professione del moderno Calciatore.

Nessun commento: