«La cosa che amo del vino è quello che mi fa capire. La verità è che amo pensare alla sua vita. Il vino è un essere vivente. Amo immaginare l’anno in cui sono cresciute le sue uve: se c’era un bel sole, se pioveva. E amo immaginare le persone che hanno vendemmiato e curato quelle uve. E se un vino è di annata, penso a quante di loro sono morte.» Nelle parole che l’attrice Virginia Madsen pronuncia in un divertente film di qualche anno fa, Sideways, c’è forse la chiave per capire che cosa fa del vino qualcosa di veramente unico. «Mi piace che continui a evolversi, che se apro una bottiglia oggi avrà un gusto diverso da quello che avrebbe se la aprissi un altro giorno. Perché una bottiglia di vino è un qualcosa che ha vita: è in costante evoluzione, acquista complessità. Finché non raggiunge l’apice. E poi comincia il suo lento, inesorabile declino.» Scanzi ci insegna a riconoscere e a distinguere, insieme a chi li produce, il Barolo, il Pinot nero, il Sassicaia, l’Aglianico e altri capolavori di una lunga storia fatta di lavoro, pazienza e dedizione. Non senza ironia ci svela, tra una tappa e l’altra del suo viaggio, i piccoli e grandi segreti che ogni sommelier e ogni buon intenditore hanno messo a punto nel tempo e che consentono loro di muoversi con disinvoltura in questo mondo così ricco e variegato. E soprattutto, ci insegna a riconoscere la vita segreta dei vini e ad apprezzare quella sottile arte che ne fa spesso dei capolavori: l’arte di invecchiare.
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