domenica 28 novembre 2010

Pasolini: il calcio come giocosa, appassionata opera d’arte

La nostalgia di un mondo che non esiste più: ieri a Casarsa il convegno dedicato a uno degli aspetti meno esplorati nella molteplicità d’interessi che connotò l’intellettuale friulano

«Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo»: così pensava e scriveva Pier Paolo Pasolini, calciatore dilettante e tifoso del Bologna. Una passione al centro del suo tempo libero, ma anche di alcuni suoi scritti, come approfondisce ieri, al teatro di Casarsa, l’incontro promosso dal Centro Studi intitolato all’intellettuale friulano. In mattinata si gioca una partita tra due squadre, rappresentative di Casarsa e San Giovanni, con la vittoria della prima. Nel pomeriggio la discussione su Pasolini e il calcio con Oliviero Beha, Alberto Garlini, Valerio Piccioni, Massimo Raffaeli, Mario Valdemarin. Assente per impegni sopraggiunti, invece, Bruno Pizzul.
Per Pasolini il calcio è stata una grande passione giocata prima sui prati di Casarsa e poi su quelli di Bologna, città dei suoi studi universitari. «Sul calcio – Raffaeli – ha lasciato pochi scritti, ma straordinariamente ricchi». Dai quali apprendiamo che per Pasolini il calcio «poetico» era quello giocato nei paesi sudamericani, «di prosa» invece quello praticato in Europa e Inghilterra. Cosa cercava nel calcio? Domanda a cui è difficile dare una risposta e che, evidentemente, lo accomuna ai milioni di tifosi in tutto il mondo: «Qualcosa che rimanda al puro valore, allo stato di grazia» è il tentativo di risposta di Raffaeli. Una forma diversa di opera d’arte.
Pasolini frequentò i campi di calcio di Casarsa con la squadra del Gil, Gioventù Italiana del Littorio, e con il Casarsa Football Club e fu tra i fondatori della Sangiovannese nel lontano 1946: esperienza di cui sono state ritrovate immagini inedite proiettate ieri. Come giocatore Pasolini «non aveva tanta tecnica, ma era veloce e aveva tanta volontà», ricorda Leo Comin, casarsese classe 1922, che con lui giocò per anni. «Era anche un grande tifoso – ricorda – e andavamo sempre in giro per i paesi vicini a cercare di organizzare partite». Quello che è emerso dal convegno è che il mondo del calcio raccontato e vissuto da Pasolini è diverso da quello che viviamo e vediamo ora, a dimostrazione che il pallone è lo specchio della società. «In Italia – dice Piccioni – la faziosità ha ormai divorato tutto ciò che di culturale c’è nel calcio», dove contano solo i numeri e «tutto il resto è secondario». Soprattutto, «il calcio è un fenomeno virtuale», di cui si sono appropriati schermo e computers. Un settore di cui si può parlare solo seguendo i binari di un percorso tracciato: nessuno oggi si sognerebbe probabilmente di realizzare interviste sulla sessualità dei calciatori, come invece fece Pasolini con il Bologna in Comizi d’amore del 1963, quando decise di immergersi nelle contraddizioni e nell’umanità del calcio. A un calciatore, oggi, si deve chiedere altro e guai a sbandare dalla strada già segnata. Nostalgia di un calcio che non c’è più quello raccontato e vissuto da Pasolini, «del calcio che cominciava alla stessa ora». Altro aspetto posto in evidenza, del Pasolini sportivo, la sua crociata contro il nazionalismo nello sport, che lo portò a mettersi in antagonismo a campioni come Nino Benvenuti. E Alberto Garlini legge alcuni brani di Fùtbol bailado, il romanzo che – si annuncia proprio ieri – sarà ripubblicato da Einaudi: «Mi piaceva l’idea di un poeta – spiega – che gioca a calcio, che si spoglia del quotidiano per buttarsi in una giocosa anarchia».
Cosa penserebbe, Pasolini, del calcio attuale? «È normale che il calcio si sia adattato al degrado di oggi – spiega Oliviero Beha –. Da un lato ha resistito, ma dall’altro ne è stato pervaso. Il calcio non è che un lato del prisma della nostra società. L’aspetto più importante di oggi è il rapporto tra politica e calcio, che combaciano. Ai tempi di Pasolini non era così. Pensiamo che il presidente del Consiglio è anche il presidente del Milan da 24 anni, e tutto questo è accaduto senza che nessuno dicesse niente. Non che non fosse lecito che potesse diventare presidente del Milan, ma non tutto il resto». Infine una considerazione di Beha, che a Pasolini ha dedicato alcuni spettacoli teatrali, che chiarisce anche la sua posizione sulla realtà che viviamo: «A Pasolini si possono muovere due appunti – afferma –: la mancanza di ironia e autoironia e il suo inguaribile ottimismo. In Italia è andata peggio di come pensava lui».
Donatella Schettini
©Messaggero Veneto

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